Ma come mi sarò ficcata in questo pasticcio?
Da tutto il pomeriggio riflettevo sulla situazione in cui mi trovavo da qualche tempo e che mi sembrava sempre di più assurda e paradossale.
Ero partita per le vacanze a fine luglio, stanca di un anno di lavoro vissuto intensamente e di una relazione catastrofica cominciata male e cresciuta nell’incertezza cui la mia fuga avrebbe dovuto mettere fine nel modo più codardo e più tipicamente mio che conoscessi.
Programmi: zero.
Quattro libri, un paio di prendisole di HM, un vecchio costume stinto dal sale (il costume il push up che desideravo era in vendita solo oltreoceano da Victoria’Secret quindi meglio niente) e via.
Niente mari esotici, niente avventure con uomini dalla pelle color ebano.
L’Italia, il sud e il suo bel mare a portata di treno sarebbero state per un mese il mio rifugio, il posto adatto dove potermi leccare le ferite purulente che un anno di frequentazione dell’Infamissimo, noto playboy e borgataro romano mi aveva procurato.
La dolce via di una citt sul mare, la brezza serale che fa sfoggiare i maglioncini di cotone a righe blu anche a ferragosto, i gelati serviti nei caffè sul lungomare, la calda accoglienza della gente spensierata nonostante tutto il casino che li circonda..
Tutto mi sapeva di rassicurante, tranquillo, terapeutico…
Ecco sì, terapeutica sarebbe stato l’aggettivo giusto da attribuire alla mia vacanza!
Sarei tornata a casa ritemprata e in forma, pronta per un nuovo anno di lavoro, l’anno giusto in cui avrei finalmente trovato quell’anima gemella che inseguivo dalle medie ma che tardava a presentarsi.
Ero partita proprio con il piede giusto.
Ma allora perché mi ritrovavo a settembre tutt’altro che ritemprata e col cuore in frantumi?
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